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Sognare in Salento nasce dalla volontà di promuovere il salento e di f...
In un paese della Sicilia, Pietrammare, puntuale come l'ora legale, arriva il momento delle elezioni per la scelta del nuovo sindaco. Da anni imperversa sul paese Gaetano Patanè, lo storico sindaco del piccolo centro siciliano. Un sindaco maneggione e pronto ad usare tutte le armi della politica per creare consenso attorno a sé. A lui si oppone Pierpaolo Natoli, un professore cinquantenne, sceso nell'agone politico per la prima volta, sostenuto da una lista civica e da uno sparuto gruppo di attivisti per offrire alla figlia diciottenne, Betti, un'alternativa in occasione del suo primo voto. I nostri due eroi Salvo e Valentino sono schierati su fronti opposti: il furbo Salvo, manco a dirlo, offre i suoi servigi a Patanè, dato vincente in tutti i sondaggi; mentre il candido Valentino scende in campo a fianco dell'outsider Natoli a cui è legato, come peraltro Salvo, da un vincolo di parentela in quanto cognato. Al di là della rivalità, però, entrambi mirano ad ottenere un "favore" che potrebbe cambiare la loro vita: un gazebo che permetterebbe di ampliare la clientela, e quindi gli incassi, del piccolo chiosco di bibite posto nella piazza principale del paese.
Tariffe
da giovedì 2 a mercoledì 8 |
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Spettacolo* |
Ora |
Intero** |
Ridotto** |
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1° |
18:30 |
€ 5,00 | ||
2° |
20:30 |
€ 7,00 |
€ 5,00 |
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3° | 22:30 | € 7,00 | € 5,00 | |
domenica anche 16:30 |
Soffia il vento fresco e corroborante del rinnovamento nel soleggiato paese di Pietrammare, e soffia anche nel cinema di Ficarra e Picone, che, al quinto film, continuano sì con la loro comicità funambolica, garbata e leggera, intrecciando però all’amarezza di cui i nostri padri hanno informato il genere un certo disincanto, che progressivamente contamina una storia "particolare" che funziona da universale.
Restando Salvo il diavoletto scaltro e dalla battuta sferzante e Valentino il ragazzo timido che sgrana gli occhi con stupore infantile, i due palermitani si ritrovano stavolta a deformare un po’ meno la realtà, non per via di uno sguardo più indulgente verso la Sicilia "sineddoche" dell’Italia, ma perché la realtà, ultimamente e in misura sempre maggiore, si è deformata da sola, e lo ha fatto con orgogliosa consapevolezza e a volte perfino con ostentata furbizia, mettendo in pratica i sinistri insegnamenti di almeno un ventennio di cattivi governi e sospinta anche dagli effetti collaterali della nostra atavica e più efficace medicina: l’arte di arrangiarsi. E di adeguarsi.
Detto ciò, considerare L’ora legale un trattato di politica, o una condanna in blocco della classe dirigente, sarebbe fuorviante e sbagliato, perché in questo film mosso e che conserva qualcosa della favola nessuno si mette in cattedra, se non i due sindaci che si litigano il consenso di un pugno di cittadini, promettendo uno i soliti favori, l’altro la trasparenza e l’onestà. Fra i due contendenti - guarda un po' - ad avere la meglio è il secondo, miracolosamente sostenuto da un popolo non più bue che per una volta dice sì alle regole: al divieto di parcheggiare in doppia fila, alla raccolta differenziata, alla valorizzazione del patrimonio artistico e a un mare più pulito. Quando tuttavia l'agognato progresso si traduce nell’obbligo di pagare più tasse, di assistere impotenti alla distruzione della propria villetta abusiva e di tornare in ufficio invece di passare il pomeriggio al bar, ecco che i votanti iluminati gridano all’ingiustizia, e si rendono conto che "si stava meglio quando si stava peggio". E allora... che rivoluzione sia!
E’ un’idea sorprendente quella di una comunità che sceglie l'involuzione e che abbraccia il caos senza senso coinvolgendo nelle proprie macchinazioni e vendette pure Roma ladrona. E sorprendenti sono i personaggi di Salvo e Valentino, che non fanno gruppo a sé, che non provocano nessuna anarchica e strampalata rottura, aiutando anzi la causa, incuranti della parentela che li lega al neoeletto Pierpaolo Natoli e determinati a ottenere quel sì che li aiuterebbe nel lavoro. I loro sotterfugi e le loro marachelle notturne sono certamente un balsamo per noi vittime dello stress che abbiamo tanto bisogno di divertirci, ma, a ben guardare, nella stanza delle risate di cui ci venie aperta la porta, filtra, dalle tapparelle, una luce livida. Perché - ed è questa la terza cosa sorprendente - il bersaglio de L’ora legale è la gente, siamo noi: tutti un po’ marci come gli zombie di una serie tv, tutti un po' furbetti del quartierino, tutti rei di una colpa che Ficarra e Picone mettono benissimo a fuoco: lasciarsi vivere nel nome del quieto vivere. Se andiamo avanti così, forse ci distruggeremo, infilando una serie di Gaetano Patanè. Oppure ce la caveremo, ostinandoci a non dividere mai l'umido dal secco.
Dei film diretti e interpretati da Salvo e Valentino, L’ora legale, è anche il più ambiziso e riuscito registicamente parlando. Come non fanno i comici che si sentono delle star, Ficarra e Picone si circondano di attori, moltissimi attori, perchè la coralità è forza, i volti poco noti che vengono dal teatro danno energia e il confronto con un veterano come Leo Gullotta non oscura il talento di nessuno, ma stimola a migliorare il proprio.
Appuntamento al Cinema con: __
Anche se Kevin (James McAvoy) ha mostrato ben 23 personalità alla sua psichiatra di fiducia, la dottoressa Fletcher (Betty Buckley), ne rimane ancora una nascosta, in attesa di materializzarsi e dominare tutte le altre. Dopo aver rapito tre ragazze adolescenti guidate da Casey (Anya Taylor-Joy, The Witch), ragazza molto attenta ed ostinata, nasce una guerra per la sopravvivenza, sia nella mente di Kevin – tra tutte le personalità che convivono in lui – che intorno a lui, mentre le barriere delle le sue varie personalità cominciano ad andare in frantumi.
Tariffe
da giovedì 2 a mercoledì |
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Spettacolo* |
Ora |
Intero** |
Ridotto** |
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1° |
18:15 |
€ 7,00 | € 5,00 | |
2° |
20:30 |
€ 7,00 |
€ 5,00 |
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3° | 22:30 | € 7,00 | € 5,00 | |
anche 16:15 |
Casey (Anya Taylor-Joy), Clare e Marcia, all'uscita da una festa, vengono rapite da un misterioso inviduo (James McAvoy). La loro situazione è peggiore del previsto: l'uomo soffre di disturbo di personalità multipla, anzi è un caso da manuale, studiato dalla dottoressa Fletcher (Betty Buckley), perché dentro di lui convivono oltre venti personalità differenti. Sarà possibile salvarsi facendo appello ad almeno una di esse?
Dopo lo humor nerissimo low budget dell'horror The Visit, M. Night Shyamalanaggiunge con Split un altro tassello alla sua resurrezione presso pubblico e critica, ancora una volta spalleggiato dalla filosofia pauperistica del producer Jason Blum: una troupe di quasi esordienti a basso costo serve l'autore di Il sesto senso e Unbreakable, sostenuto dall'unico elemento che possa ricordare un passato presso le major, cioè un attore mainstream come McAvoy.
Un McAvoy straordinario, peraltro, pronto ad accogliere la delirante sfida di un personaggio che fa sembrare Norman Bates una persona equilibrata. Come accade di consueto in un lungometraggio dell'autore, non tutto però risponde alle regole strette del genere: i confronti quasi materni tra l'uomo e la psichiatra non seguono l' (efficace) angoscia paranoica da thriller del resto del film, ma fanno venire a galla un'umanità tragicamente tenera che nei lavori di Shyamalan in realtà è sempre esistita. E che l'essenzialità di questa messa in scena sottolinea ancora meglio. Tramite le parole della dottoressa, Shyamalan sposa la tesi secondo cui la condizione mentale del protagonista sia in realtà un potenziale privilegio, l'occasione per andare oltre le nostre singole esistenze. Si tratta di un privilegio però mai scevro di violenza, rabbia e sofferenza, in cui il mondo intero sembra essere immerso: per questo Shyamalan non riesce mai davvero a condannare il suo "mostro". Anzi.
Shyamalan non ha paura di rischiare e farsi male, alla faccia dei Razzie Awardsche lo hanno tartassato fino a pochi anni fa. Sa creare un'atmosfera con pochi tocchi, incuriosisce sempre e non vuole mai essere prevedibile. L'apice lo raggiunge con il suo consueto colpo di scena finale, che ovviamente non potremmo mai commettere il delitto di svelare. Possiamo però prendere la questione molto alla lontana, dicendo che le capacità manipolatorie di Shyamalan denotano un'intelligenza rara, che prima o poi anche i suoi detrattori dovranno ammettere: essere "ingannati" da lui è di rado un'umiliazione, quanto più spesso uno stimolo, un segno di una concreta volontà di condividere il proprio entusiasmo per le potenzialità narrative e formali del mezzo. Con una libertà che una major non approverebbe mai.
Appuntamento al Cinema con: __
La banda dei ricercatori di Smetto quando voglio è tornata. Anzi, non è mai andata via. Se per sopravvivere Pietro Zinni e i suoi colleghi avevano lavorato alla creazione di una straordinaria droga legale diventando poi dei criminali, adesso in Smetto quando voglio 2 Masterclass è proprio la legge ad aver bisogno di loro. Sarà infatti l'ispettore Paola Coletti a chiedere al detenuto Zinni di rimettere su la banda, creando una task force al suo servizio che entri in azione e fermi il dilagare delle smart drugs. Agire nell'ombra per ottenere la fedina penale pulita: questo è il patto. Il neurobiologo, il chimico, l'economista, l'archeologo, l’antropologo e i latinisti si ritroveranno loro malgrado dall’altra parte della barricata, ma per portare a termine questa nuova missione dovranno rinforzarsi, riportando in Italia nuove reclute tra i tanti "cervelli in fuga" scappati all'estero. La banda criminale più colta di sempre si troverà ad affrontare molteplici imprevisti e nemici sempre più cattivi tra incidenti, inseguimenti, esplosioni, assalti e rocambolesche situazioni come al solito "stupefacenti".
Tariffe
da giovedì 2 a mercoledì 8 |
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Spettacolo* |
Ora |
Intero** |
Ridotto** |
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1° |
18:15 |
€ 7,00 | € 5,00 | |
2° |
20:30 |
€ 7,00 |
€ 5,00 |
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3° | 22:30 | € 7,00 | € 5,00 | |
anche 16:15 |
A sentire l’affiatata, irresistibile e ormai leggendaria brigata di attori di Smetto quando voglio - Masterclass, a rendere rivoluzionario nel panorama del cinema italiano il secondo capitolo della trilogia di Sydney Sibilia con protagonista la Banda dei ricercatori sono la scrittura - agile colta e ironica - e la regia - mossa, adulta, pop.
Ora, è normale che Edoardo Leo, Stefano Fresi, Valerio Aprea, Libero De Rienzo &. Co. facciano il tifo per il loro Peter Jackson, che li ha riuniti in una Terra di Mezzo fra l’Università La Sapienza e la Puglia per girare contemporaneamente due film di una saga movimentata, avventurosa e più simile a un fumetto che a un fantasy. Però, i magnifici 7 - e con loro le new-entry Luigi Lo Cascio, Giampaolo Morelli e Greta Scarano - non si sbagliano poi tanto, perché Smetto 2, che pure pesca dal calderone delle trilogie cinematografiche americane anni ’80, delle attuali e perfette serie tv, dall’abitudine (tutta contemporanea e ancora made in USA) di giocare con rimandi, raccordi, flashback etc., e dai nostri vari Amici miei e Fantozzi, ha una cifra stilistica tutta sua, ora acida e psichedelica, ora epica, che ne fa davvero un “unicum”.
E poi, per fortuna, il film non è la copia carbone del capitolo iniziale della saga, in primis per via della sua incursione - entusiastica, gioiosa e a tratti volutamente sgangherata - nell’action. E’ proprio inoltrandosi in questo territorio così poco italiano che Masterclass diventa grande cinema, cinema ad alto budget of course, di riprese articolate e massiccio uso di stunt, cinema che in un prodigioso assalto al treno gareggia bonariamente e con modestia con un Bond movie o un Indiana Jones, caricandosi di uno humour sofisticato sprigionato in maniera sempre più travolgente da personaggi amabili e irresistibili.
Va detto, però, che, per via di Pietro Zinni (Edoardo Leo), che ruba troppo spazio, qualche componente dell’amabile cricca rimane in sordina (come Arturo Frantini e Andrea De Sanctis), qualcuno invece attende paziente uno sviluppo (Lucio Napoli, Giulio Bolle) che arriverà magari nel numero tre, qualcun altro infine diventa, seppur fra stralci di verità, una semi-caricatura di se stesso (Alberto Petrelli). Qualche perplessità la suscita anche l’Ispettore di polizia Paola Coletti, che non ha abbastanza verve, ma è la coralità la miccia che fa esplodere felicemente la commedia prodotta dal duo Procacci-Rovere, che parte piano per poi accelerare vorticosamente come il furgone dell’archeologo di Paolo Calabresi, lanciato all’impazzata verso una risata arguta che ancora una volta si alimenta del contrasto fra la necessità di essere degli eroi (stavolta perfino dei supereroi) e la proverbiale goffaggine dell’accademico tutto cultura e zero machismo.
E se l’immenso sapere e la proprietà di linguaggio delle dieci menti mortificate dall’impietoso mondo di oggi sono ancora una volta potentissimi propulsori di ilarità, si insinua nello stesso tempo nel rocambolesco racconto una riflessione inquietante sull’inadeguatezza del nostro paese, coacervo di raccomandati e di ammanicati. Sibilia accenna perfino al tema della fuga di cervelli, e pigia nuovamente il pedale del cinismo, ma anche qui non sempre approfondisce, incalzato dal ritmo di cose devono accadere, smart drugs da trovare e analizzare il più rapidamente possibile, e fedine penali da ripulire.
Sono gli oneri di un film "in mezzo”, è chiaro. Masterclass, fra i suoi onori, ha pure un villain da 10 e lode, che sembra uscito dall’universo Marvel anche se ha l’aura di un bandito da vecchio western o di un antagonista da dramma antico. Parliamo del Walter Mercurio di Luigi Lo Cascio, che appare verso la fine e che lontanissimo, per esempio, dal Peppino Impastato de I cento passi, è corpo e non parola ed è una delle ragioni per cui attendiamo impazienti il terzo film, da cui ci aspettiamo, accanto all’adrenalina, il riscatto di personaggi in cui ci identifichiamo e un’altra opera che parli all’intelligenza dello spettatore, stufo delle solite storie buffe ormai prive di qualsiasi appeal.
Appuntamento al Cinema con: __
SABATO 4 e DOMENICA 5 - 16:30 - Nobita e i suoi amici, stanchi del mondo odierno, decidono di partire per una nuova avventura viaggiando indietro nel tempo di ben 70.000 anni, in un'epoca in cui il Giappone non era ancora abitato. Qui, grazie ai poteri di Doraemon, popolano il Pianeta di creature magiche, finché un giorno incontrano Kukuru, un ragazzo dell'epoca primitiva il cui villaggio è stato distrutto dalla tribù di Ghigazombie, un terribile e infido stregone-sciamano. Nobita e i suoi amici aiuteranno Kukuru a combattere Ghigazombie e a liberare i suoi compagni.
Tariffe
sabato 4 e domenica 5 |
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Spettacolo* |
Ora |
Intero** |
Ridotto** |
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1° |
16:30 |
€ 5,00 | ||
Appuntamento al Cinema con: __
Felice Castriota è un commercialista salentino, impulsivo e un po' superficiale. Il desiderio di arricchirsi e una certa avventatezza lo hanno portato a riciclare i soldi della malavita, prima di farsi scoprire. Così, quando il Procuratore della Repubblica di Lecce gli propone, invece della galera, l'affido ai servizi sociali, Felice ci mette un attimo ad accettare l'offerta e a denunciare 'U Pacciu, l'importante malavitoso per cui ha riciclato i soldi. Al Centro "Don Guanella" di Roma, dove viene mandato, Felice s'imbatte in una realtà completamente diversa sia da quella che si aspettava che da quella che aveva conosciuto fino a quel momento.
Tariffe
da giovedì 2 a mercoledì 8 |
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Spettacolo* |
Ora |
Intero** |
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1° |
18:30 |
€ 5,00 | ||
2° | 20:30 | € 7,00 | € 5,00 | |
3° | 22:30 | € 7,00 | € 5,00 | |
Sono lontani, per fortuna, gli anni orribili dei manicomi lager raccontati nel 1975 nel documentario Matti da slegare di Bellocchio, Agosti, Rulli e Petraglia e aboliti nel 1978 dalla legge 180 o legge Basaglia, dal nome dello psichiatra Franco Basaglia che promosse la riforma psichiatrica. Ma le persone con disagi o handicap mentali, lievi o gravi, ci sono ancora e non esistono dopo quasi 40 anni abbastanza strutture e personale qualificato in grado di accoglierli e aiutarli. Una delle felici eccezioni, a Roma, è quella del centro Don Guanella, dove è ambientata la storia dell'opera prima di Fabrizio Maria Cortese, Ho amici in Paradiso, in concorso ad Alice nella città nell'ultima Festa del Cinema di Roma. L'autore, che conosce la struttura, fa dei disabili accolti dal centro il fulcro di una storia di redenzione narrata in forma di commedia.
Il pretesto è quello che accade a Felice Castriota (Fabrizio Ferracane), un uomo d'affari pugliese che per avidità di denaro ha scelto i partner sbagliati e che accetta di collaborare con la giustizia in cambio di un anno da passare ai servizi sociali in regime di libertà vigilata. Viene dunque mandato a Roma nel centro Don Guanella, dove, inizialmente distaccato e disgustato dal contatto coi “matti”, ci prova subito con arroganza con la bella dottoressa Giulia (Valentina Cervi), ma pian piano si converte (laicamente) grazie proprio ai rapporti con gli ospiti della struttura, sopprattutto Antonio (Antonio Folletto), un ragazzo emiplegico grave che gli racconta di aver messo in scena il Riccardo III e gli fa riscoprire la vecchia passione per la recitazione. Ma le cose si complicano quando il boss tradito, U Pacciu, uscito dal carcere e mandato ai domiciliari, invia due scagnozzi a rapirlo. Alla sua salvezza partono in tanti, incluso un gruppetto dei suoi amici pazienti in una rocambolesca corsa verso la Puglia.
È un piccolo film pieno di buone intenzioni e con momenti divertenti e toccanti Ho amici in Paradiso, il cui principale difetto è quello di mettere troppa carne al fuoco, senza riuscire a cuocerla tutta allo stesso modo. Forse per insicurezza o per eccesso di generosità, Cortese si complica inutilmente la vita, aggiungendo personaggi che non ha tempo di approfondire e che spariscono presto o restano allo spessore di comparse, come la madre di Felice o il figlio adolescente ribelle della psicologa, e trame poco probabili come la parte che coinvolge la vendetta mafiosa, che entra tardivamente nella vicenda e viene risolta frettolosamente, dopo un buffo intermezzo on the road. In fondo non ce n'era bisogno, visto che il cuore del film è l'interazione – ottima e sincera – tra veri attori e veri malati, con la loro ingenua schiettezza e ricchezza emotiva. Sicuramente per gli ospiti del Don Guanella partecipare al film è stata un'esperienza terapeutica interessante e per i bravi protagonisti – a cui si aggiungono Antonio Catania e in un piccolissimo e inedito ruolo Enzo Salvi – un momento di scambio che li avrà arricchiti come artisti e come persone. Ma ciò non toglie che la destinazione ideale per questo prodotto sembra lo schermo tv più che quello cinematografica.
Appuntamento al Cinema con: __
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